Elogio del manager invisibile

Sappiamo tutti come è fatto un manager narciso perché tutti, purtroppo, ne abbiamo incontrato almeno uno nella nostra carriera.

Il Narciso del mito aveva la ninfa Eco che lo seguiva sempre, osannando il suo nome. E infatti il marker principale del manager narciso è la presenza attorno a lui di una cerchia di incensatori, proni al suo volere e sempre pronti a lodarlo.

I suoi yes-men sono la sua gioia ma anche la sua condanna perché, privato così di riscontri oggettivi sull’esito delle sue decisioni, il manager narciso prima o poi si incarta. Non senza aver prima prodotto abbondanti dosi di infelicità aziendale.

All’estremo opposto della scala dell’efficacia manageriale troviamo il manager invisibile.

Mentre il narcisista è sempre e solo focalizzato su sé stesso, il manager invisibile ha una focalizzazione assoluta sugli altri e sulle cose da fare. Non ha nessun interesse per gli indicatori di status, raramente lo vedrete in posa sulle riviste di settore, le pareti del suo ufficio sono prive di attestati, diplomi e foto ricordo.

Sa ascoltare, ma non lo fa in modo superficiale o manipolatorio. Ascolta perché ha un interesse vero per le persone, e sa che l’esperienza degli operativi è una miniera di soluzioni pratiche a cui attingere. E’ molto motivato al successo ma vede i successi come un risultato di tutti, non solo suo. Mentre si cura poco di sé stesso, ha molta cura di chi collabora con lui. Rispetta le persone, per attitudine psicologica ed etica.

I piani e i progetti del manager narciso sono formalmente completi e perfetti ma spesso, centrati come sono su esigenze di coerenza estetica, si impantanano nella realizzazione pratica. Anche perché le critiche costruttive e le proposte di miglioramento sono viste come attentati all’auto-percezione idolatrica del leader.

Piani e progetti del manager invisibile, invece, sono spesso schematici e sempre aperti a cambiamenti in corso d’opera, al riscontro nella realtà e al parere di chi è coinvolto nella loro attuazione. Non sono perfetti e formalmente rifiniti, si basano però su una visione molto chiara e concreta dei risultati che si vogliono ottenere.

E alla fine il successo di quel piano sarà il successo di tutti in azienda. Perché non è vero che il volto del manager invisibile non si vede. Si vede benissimo perché è il volto di tutti quelli che lavorano con lui.

“Guerra e pace” e il management

Alle tante storie che formano quel romanzo meraviglioso che è “Guerra e pace”, si interseca, come è noto, la narrazione dell’invasione della Russia da parte dell’esercito napoleonico.

Lev Nikolàevič Tolstòj aveva avuto un’esperienza diretta della guerra. La guerra di Crimea, a cui partecipò in una posizione di comando, fu una tappa fondamentale della sua evoluzione culturale e umana. I suoi “Racconti di Sebastopoli” furono censurati per la realistica crudezza con cui descrivevano l’orrore dei combattimenti.

Si spiega così il modo in cui, nel suo romanzo principale, Tolstòj descrive le battaglie che si svolsero durante la campagna di Russia.

L’esperienza personale della guerra si riflette evidente ed impietosa nella ricostruzione storica e nell’analisi che ci offre in “Guerra e pace” del potere politico e militare, della pianificazione strategica e della sua attuazione reale sul campo di battaglia, attraverso la catena di comando. E’ un’analisi ancora attualissima sul potere, su come conquistarlo, mantenerlo e usarlo. E su come non sempre i fatti e la loro pianificazione coincidano.

Lo Zar Alessandro in quegli anni ha il potere assoluto, avere il suo favore è quindi la precondizione fondamentale per ottenere ed esercitare il comando. Tolstòj descrive i grandi generali dello stato maggiore in lotta fra loro, le loro trame per riuscire ad avere il consenso del sovrano autocratico. Un consenso alla loro visione e, soprattutto, alla loro affermazione egotica. Per farcela a volte mentono, spesso applicano il principio che ci sono tanti modi di dire la verità che non è necessario mentire.

Oggi il potere è parcellizzato fra milioni di cittadini che lo esercitano attraverso le elezioni. La ricerca del loro consenso rende centrali sondaggi ed analisi del sentiment. Ma oggi come allora perseguendo solo il consenso, pur necessario per esercitare il potere, si rischia di fare scelte sbagliate e non lungimiranti.

In ambito aziendale pensiamo alla massimizzazione estremistica del profitto a breve, a quei top manager che hanno lo sguardo sempre rivolto ai dividendi e alla proprietà, non verso l’azienda e il suo valore nel tempo. Sono molto diversi da quei grandi generali zaristi gallonati che tramano l’uno contro l’altro per ingraziarsi lo Zar Alessandro?

La descrizione delle riunioni di stato maggiore che precedono le battaglie è di un’ironia feroce. Sono confronti violenti fra personalità narcisistiche innamorate dei loro dettagliatissimi progetti la  cui coerenza estetica sembra il fattore predominante. Piani che determineranno la vittoria o la sconfitta, la vita e la morte di migliaia di soldati vengono bocciati o approvati in base a giochi di potere, e sono drammaticamente scollegati da una percezione reale della situazione. Deciso il piano, una disciplina ferrea lo trasmette per le linee di comando, tramite ufficiali intermedi che non capiscono ma si adeguano, a chi sul campo dovrà comandare le truppe all’assalto.

Quando inizia la battaglia presto la confusione è totale. Incomprensioni e ritardi, nebbia e fumo dei cannoni, creano uno scenario incerto dove i piani perfetti del comando si sgretolano in un carnaio caotico.

La sorte delle battaglie, sembra dirci Tolstòj, alla fine dipende in larga parte dal caso e dal fattore umano che è l’unico capace di costruire episodi di buon senso operativo nel caos sul campo. A decidere chi vince e chi perde è l’ufficiale di prima linea che prende d’istinto e per esperienza le decisioni giuste anche sotto lo stress del combattimento, è il soldatino russo che per orgoglio istintivo si butta all’attacco invece di ritirarsi, trascinando i compagni dietro di sé.

Se questa situazione vi innesca un déjà-vu vuol dire che avete visto accadere le stesse cose nella realtà di qualche infelice azienda. Top management narcisista, middle management disciplinato ma inerte, piani teoricamente perfetti ma rigidi e imposti dall’alto senza accettare modifiche di buon senso.

E alla fine sono l’ufficiale sul campo e il soldato di prima linea, orgoglioso e onesto, che devono metterci la pezza.

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