Amore mio aiutami con Alberto Sordi e Monica Vitti (1969)

“Amore mio aiutami” è un film del 1969 diretto da Alberto Sordi che ne è anche sceneggiatore assieme a Rodolfo Sonego e Tullio Pinelli.

Sordi interpreta Giovanni Machiavelli, un agiato dirigente bancario, sposato con Raffaella (Monica Vitti). L’idilliaco rapporto della coppia, borghese e benestante, implode clamorosamente quando Raffaella, già di suo svagata e un po’ nevrotica, si prende una dirompente cotta adolescenziale per un altro.

I tentativi di Giovanni per risolvere civilmente l’inatteso problema si scontrano con la tenacia di Raffaella. Memorabile la scena sulla spiaggia in cui un ancestrale maschilismo prende il sopravvento sulla civile e “moderna” tolleranza che Giovanni vorrebbe imporsi. E’ la scena famosa in cui Giovanni gonfia di botte Raffaella che, nonostante il pestaggio, itera il tormentone “si che lo amo !!”.

Alla sua uscita il film ebbe un grande successo di pubblico, mentre la parte della critica più schierata politicamente, siamo nel ’69, accusò Sordi di una certa misoginia e di aver voluto celebrare i valori tradizionali del matrimonio. In realtà nel film non prevalgono intenti sociologici e l’approfondimento psicologico dei personaggi è puramente finalizzato a rafforzare i meccanismi comici. La recitazione di Sordi e della Vitti è sfavillante, le tempistiche comiche sono straordinarie, e il film regala due ore di cinico divertimento alle spalle dei due personaggi centrali, a cui si finisce però per affezionarsi per la loro disarmata umanità.

“L’avventura” di Michelangelo Antonioni

Prime Video, il servizio streaming di Amazon, sta diventando sempre più la terra promessa dei cinefili. Scavando nel catalogo, infatti, saltano fuori i grandi classici del passato, alcuni famosi altri meno, e tanto grande cinema, dagli anni Trenta in poi.  Ci sono molti film con Jean Gabin, dei noir francesi amari e robusti. Commedie degli anni Sessanta e Settanta con Tognazzi, corrosive e feroci nel dipingere le ipocrisie di quegli anni. Quasi tutto Hitchcock, Chabrol e tanti altri maestri del cinema le cui opere sono ancora di una modernità sconcertante. Film che è un piacere vedere, o rivedere, perché di alta qualità sotto tutti gli aspetti.

Ieri sera ho guardato “L’avventura” di Michelangelo Antonioni, del ’60, il primo film della cosiddetta “Trilogia” seguito da “La notte” e “L’eclisse”.

Il bianco e nero perfetto, restaurato di recente, valorizza una fotografia e una scenografia splendide.

Il film è una danza macabra di sentimenti inariditi ed egoistici, e di passioni che travolgono i personaggi.

Il prologo, a Roma, introduce in chiave realistica i personaggi centrali: la scontenta Anna (Lea Massari) la sensuale, generosa e inconsapevole Claudia (Monica Vitti) e il cinico e disilluso architetto Sandro (Gabriele Ferzetti).

Nelle scene sulle scogliere dell’isola di Lisca Bianca, nelle Eolie, dopo la scomparsa inspiegabile di Anna (Lea Massari) le convenzioni sociali del gruppo di amici benestanti, scesi dalla barca, si svuotano nel rumore del vento e delle onde, una probabile citazione da “Le tempestaire” di Jean Epstein.

Sandro e Claudia si mettono alla ricerca di Anna, attraverso una Sicilia ancora arcaica. Meravigliose le scene a Noto, dove la bellezza della città manda in crisi Sandro che ha rinunciato, per denaro, al lato artistico del lavoro di architetto. Nel viaggio i personaggi di Claudia, nella sua semplicità, e Sandro nel suo sensuale egoismo, si scoprono progressivamente. Fino alla scena finale in cui con un gesto di affetto, nonostante tutto, Claudia, unico personaggio positivo, mette una mano sulla spalla di un Sandro finalmente in lacrime.

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