“Tarda Primavera” del 1949 è, assieme a “Viaggio a Tokyo” del 1953,
uno dei film più famosi fra i molti girati da Yasujirō Ozu.
Narra del rapporto fra un padre vedovo, professore universitario, e la sua unica figlia. Vivono insieme in una cittadina vicino al mare e lei si sente realizzata nell’accudire il padre, che adora. Ma il padre, che a sua volta ha per la figlia un amore profondo, vorrebbe vederla sposata e indipendente. Arriverà ad un espediente per riuscire a convincerla a quel distacco che il suo altruistico amore paterno sente come necessario. Anche se lui resterà solo.
Nello svolgere una trama così minimale, Ozu riesce però a filmare i sentimenti più profondi di padre e figlia. Lo fa con un rispetto e un pudore propri della cultura giapponese. Un pudore che si riflette nelle sue famose inquadrature in interni con la camera fissa in basso e distanziata. Grazie a questo artificio stilistico abbiamo l’impressione di spiare, non visti, le interazioni e gli stati d’animo intimi dei personaggi.
Impossibile vedere il film se non in lingua originale sottotitolata, perché dialoghi e gestualità sono tipicamente giapponesi. Ma le emozioni sono forti e ben percepibili sotto il formalismo controllato delle mimiche e delle espressioni.
C’è poi il livello dell’analisi sociale, che Ozu svolge giocando sui costumi e sulle scenografie. La casa del professore è una casa giapponese tradizionale. Al piano superiore, nella stanza della ragazza, l’arredo è di tipo occidentale. Del tutto moderna è la casa dell’amica divorziata con cui la figlia, legata ai valori tradizionali, non riesce ad omologarsi. E alla fine sono i valori tradizionali a prevalere.
Ozu ci narra l’evoluzione di un Giappone che ama profondamente e che vede cambiare. Ci comunica questo amore con la poesia delle scene in esterno, dove i templi e i paesaggi rispecchiano la mistica zen.