Emily in Paris

È attesa la terza stagione di Emily in Paris, una delle serie di maggior successo su Netflix. Realizzata da Darren Star, l’autore di Sex and the City, interpretata da una sfavillante Lily Collins, la serie ha fatto discutere per l’utilizzo massivo di stereotipi sul modo di lavorare e di vivere di francesi e americani.

In realtà gli stereotipi sono presenti ma sono trattati con elegante leggerezza e risultano perfettamente funzionali ad una narrazione gradevole e mai banale.

Il plot è noto. Emily, brillante e giovane addetta al marketing e ai social in una grande azienda di pubblicità di Chicago, viene spedita a Parigi per mettere in riga Savoir, una piccola e raffinata agenzia di marketing specializzata nel segmento lusso, appena acquisita dal gruppo.

Dopo un inizio traumatico Emily resta affascinata dallo stile di vita parigino e si integra a meraviglia nel nuovo team e con gli affascinanti clienti, passando di successo in successo sia nel lavoro che nella vita sentimentale.

La narrazione delle sfide lavorative che Emily affronta e vince con il suo fresco entusiasmo e il suo contagioso ottimismo suscitano considerazioni non banali da un punto di vista manageriale.
Particolarmente interessante è l’ultimo episodio della seconda serie dove Madeline, la capa americana di Emily, compare all’improvviso a Parigi e si abbatte su Savoir commettendo in rapida successione una serie di errori clamorosi.

Il personaggio di Madeline (nella foto, interpretato dalla bravissima Kate Walsh), connotato da una rozza superficialità, non si rende conto di quanto preziosi siano i rapporti che Savoir, nome non casuale, savoir-vivre, savoir-faire, ha con i suoi clienti.
Non vede proprio quanto raffinati siano lo stile e l’eleganza del suo modello di business e della sua produzione, funzionale al tipo di clientela, creativi del lusso e della moda.
Interpreta come favoritismi i rapporti personali con i clienti che Sylvie, la fondatrice di Savoir, coltiva con successo da anni.
Manca totalmente di fiducia e vorrebbe ricorrere a metodi scorretti per scoprire presunte magagne nei conti.
Occupa sgarbatamente l’ufficio di Sylvie e inanella una serie di pesanti scortesie verso di lei e verso i clienti.

In sostanza, Madeline distrugge valore con l’efficacia e la rapidità del famoso elefante nella cristalleria. Senza rendersene conto.

Con grande perfidia l’autore ci mostra, in una delle scene finali, Madeline che siede soddisfatta con aria ebete alla scrivania di Sylvie, ma sola in un ufficio vuoto.
Infatti, con una nemesi da applausi, vediamo Emily invitata al ristorante dove Sylvie e i suoi colleghi le chiedono se vuole essere con loro nella nuova agenzia, appena creata da Sylvie e dove si è già trasferita tutta la clientela di Savoir.

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