Historia magistra vitae

Per preparare la mia tesi di laurea, sulla poesia propagandistica del regime fascista, passai diversi giorni in biblioteca a consultare raccolte di quotidiani degli anni dal 1934 al 1939.

Erano gli anni in cui il regime si era pienamente consolidato, gli anni della guerra contro l’Etiopia, dell’autarchia. L’epoca dello squadrismo era passata e i massacri compiuti dai vari Balbo e Farinacci erano stati da tempo sostituiti da omicidi mirati, come quello dei fratelli Rosselli, dall’uso del confino per i dissidenti e dall’emarginazione capillare di ogni voce di dissenso.

Il regime, e spesso Mussolini in persona, controllavano e dirigevano minuziosamente la stampa, la radio, il cinema.

Avevo letto una buona quantità di “veline” e di istruzioni del duce inviate ogni giorno ai quotidiani sui più vari soggetti con maniacale precisione.

Conoscevo quindi una realtà che era del tutto ignota a chi tanti anni prima aveva aperto le stesse pagine di quel quotidiano, la mattina di un giorno qualsiasi degli anni trenta.

Scorrendo gli articoli di apertura, fra una pubblicità del Ferro China Bisleri e una della Pastina Glutinata Buitoni, mi chiedevo quale idea della situazione in Italia si poteva fare un italiano medio di allora leggendo quegli articoli.

Avrebbe avuto idee molto chiare. L’Italia stava diventando una grande potenza e riconquistava il suo posto nel mondo nonostante le inique sanzioni delle corrotte democrazie occidentali. Ci espandevamo in Africa portando la civiltà, pazienza se per farlo toccava sterminare un po’ di selvaggi. All’interno, il paese era ordinato e ben gestito. Tutti eravamo fieri di essere italiani e inebriati dal ritorno di un destino imperiale per Roma. Nei riti del regime trovavamo senso di identità e di orgoglio nazionale. Nel suo ufficio in Piazza Venezia, illuminato anche di notte, LUI disegnava il nostro radioso futuro, senza le inutili complicazioni della democrazia parlamentare, diretto e deciso.

Questi piccoli viaggi nel tempo che mi concedevo nelle pause delle mie ricerche bibliografiche mi sono tornati in mente, come un déja-vu, leggendo e ascoltando i giornalisti e gli ideologi russi che, intelligentemente, alcuni nostri opinionisti stanno intervistando in questi giorni rendendo evidenti gli effetti di un controllo ferreo del regime di Mosca sull’informazione. Un controllo che arriva all’eliminazione fisica dei dissidenti.

Colpiscono anche certe somiglianze ideologiche, che, con tutte le debite differenze di epoca e di contesto, sono eclatanti. Il riscatto nazionale, la grandezza da ritrovare, la decadenza dell’occidente corrotto e nemico, l’uomo forte al potere. Forse non è casuale che da parte dei nostri politici più putiniani non si sia mai sentita una critica davvero sincera del fascismo mussoliniano. E purtroppo su questo sottofondo ideologico antidemocratico ha fatto leva con successo la politica antieuropea della Russia.

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