I terroristi palestinesi sono come noi?



Fra le intercettazioni delle telefonate effettuate dai terroristi palestinesi durante l’attacco del 7 ottobre ce n’è una in cui uno di loro chiama il padre a Gaza e poi si fa passare la mamma.
La telefonata è del tutto simile a quella che un nostro studente farebbe ai genitori per comunicare un bel voto o il superamento di un esame importante. Nella voce di questo giovane palestinese c’è entusiasmo, fierezza, urgenza di condividere un successo con mamma e papà. Che infatti lo lodano e ringraziano dio per quanto il figlio è riuscito a realizzare.
Ma il giovane palestinese non dice “mamma, papà ho preso trenta a diritto amministrativo!”. Dice “mamma, papà ho appena ammazzato dieci ebrei!”

Per lui e per i suoi genitori il massacro di infedeli è il felice compimento di un processo educativo che è iniziato quando era piccolo, nelle scuole dell’UNRWA (ONU).
Alla recita di fine anno ha messo in scena con gli altri bambini, vestiti in mimetica, un’azione militare di uccisione di ebrei.
Alle medie ha imparato che tutti i mali del mondo sono colpa degli ebrei e degli americani.
In moschea ha ascoltato devotamente le prediche contro gli occidentali corrotti ed immorali.
Se ha frequentato l’università di Gaza probabilmente sa tutto su esplosivi e propellenti per i missili.
Come soldato di Hamas avrà soldi, privilegi e un grande prestigio sociale.
Se poi morirà in azione diventerà uno shahid, andrà in paradiso, i suoi genitori mostreranno con orgoglio a tutti la sua foto.

Perché tanti giovani occidentali scendono in piazza per solidarizzare con giovani come questo, difendono le azioni dei terroristi come fossero una resistenza eroica contro gli oppressori? Perché si identificano con i terroristi mettendo la stessa kefiah?
Non vedono l’aberrazione di un’ideologia teocratica, arcaica, violenta e mortuaria?

L’analisi storica e politica ci aiuta capire come è nata e si è diffusa in occidente l’ideologia suicida, anti-occidentale, su cui si innesta l’appoggio ai palestinesi e l’odio per Israele.
Ma soprattutto ci aiuta la psicologia. Quello che stiamo vedendo è un caso plateale, di massa, di fallacia della proiezione.
Il tragico errore di pensare a priori che l’altro, che non conosciamo, sia come noi.

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